cadelano.com

Vai ai contenuti

Menu principale:

proclami

La Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, è l'evento simbolo che sancisce l'inevitabile ascesa al potere del grande Partito Nazionale Fascista (PNF). Più che di un evento, si dovrebbe parlare di una serie di eventi, svoltisi tra il 27 ed il 30 ottobre del 1922, che portarono a capo del governo del Regno d'Italia, Benito Benito Mussolini e il Partito Fascista.

Nei mesi precedenti la Marcia, il Fascismo si trovava in una leggera crisi: stava perdendo popolarità, le squadre si comportavano sempre di testa loro. Le cose precipitarono quando Facta affidò a Gabriele D'Annunzio il compito di guidare una imponente manifestazione il 4 novembre 1922 per ricordare la vittoria italiana nella Prima guerra mondiale. Benito Mussolini temeva che ciò avrebbe potuto strappare ai fascisti il monopolio del combattentismo e della vittoria mutilata. Fu per queste ragioni che venne decisa la marcia su Roma.

Quattro giorni prima della marcia, il 24 ottobre, a Napoli si tenne una grandiosa adunata di camicie nere che doveva servire da prova generale. Confluirono 60.000 fascisti che sfilarono per ore nella città. Lì Benito Mussolini tenne due discorsi, uno al teatro San Carlo e uno in piazza San Carlo. La sera all'Hotel Vesuvio si riunì il Consiglio nazionale del partito dove vennero stabilite le direttive per la marcia: il piano prevedeva un quadrumvirato composto da Italo Balbo (uno dei ras più famosi), Emilio De Bono (comandante della Milizia), Cesare Maria De Vecchi (un generale non sgradito al Quirinale) e Michele Bianchi (segretario del partito fedelissimo di Benito Mussolini) insediato a Perugia che avrebbe assunto i poteri nella notte tra il 26 e il 27 ottobre, a questo doveva seguire una mobilitazione generale delle squadre fasciste nei due giorni successivi, che avrebbero occupato gli uffici pubblici, le stazioni, le centrali telegrafiche e quelle telefoniche. Subito dopo le squadre sarebbero confluite a Tivoli, Monterotondo e Santa Marinella per poi entrare nella capitale.

Facta era rassicurato dagli avvenimenti e dai discorsi tenuti a Napoli poiché non erano accaduti incidenti, ma il 26 Antonio Salandra lo informò che i fascisti volevano le sue dimissioni e che si preparavano a marciare su Roma. Ad informare Salandra furono De Vecchi e Costanzo Ciano forse perché più fedeli al re che a Benito Mussolini. Comunque, Facta non credette a Salandra e pensò che Benito Mussolini potesse benissimo governare al suo fianco. Intanto, convocò il governo facendo dimettere tutti i ministri con la facoltà di riconfermarli o sostituirli con fascisti ed informò il re consigliandogli il suo ritorno a Roma.

Il giorno 27, mentre Facta continuava a sperare in un accordo con Benito Mussolini e a fare e disfare governi, le squadre di Cremona, Pisa e Firenze erano già in azione. Alle prime notizie, Facta, incontrò il re Vittorio Emanuele III a San Rossore (PI), proponendo lo stato d'assedio che però il re non accettò rifiutandosi di deliberare sotto la pressione dei moschetti fascisti. Del colloquio a Villa Savoia ancora oggi manca una versione ufficiale; si sa solo che la sera Facta andò a dormire come se nulla fosse.

La notte tra il 27 e il 28 il presidente del consiglio fu svegliato per essere informato che le colonne fasciste erano in marcia sui treni. La mattina del 28, alle 6 del mattino, si riunì il consiglio dei ministri che decise di proclamare lo stato di assedio. Verso le 8.30 Facta si recò al Quirinale per far firmare il proclama ma il re si rifiutò si accettare la proposta. «Queste decisioni spettano soltanto a me. Dopo lo stato d'assedio non c'è che la guerra civile. Ora qualcuno si deve sacrificare». Facta capì benissimo le sue parole e si dimise.

Cosa spinse il re a rifiutare la proposta ancora oggi è materia di congetture. Alcuni ritengono che ci fossero degli accordi segreti tra lui e Benito Mussolini, altri che la presenza del Duca d'Aosta a Perugia l'avesse portato a temere una crisi dinastica. Sicuramente il re passò la notte sveglio consultandosi con varie personalità ma non con Badoglio né con Pugliese, il comandante del presidio di Roma perché li sapeva entrambi decisi a usare la forza.

Alle 9.30 Facta tornò al Viminale per annullare lo stato d'assedio e per chiamare Giovanni Giolitti in suo aiuto che però non poté arrivare a causa delle linee ferroviarie interrotte. Alle 11.30 Facta dette le dimissioni e il re avviò la normale procedura delle consultazioni.

Benito Mussolini intanto se ne stava a Milano, dove veniva costantemente informato sulla situazione romana e da dove giocava la partita con assoluta freddezza. Sapeva che De Vecchi e Grandi cercavano qualche accordo e anche se più tardi li accuserà d'aver tradito la rivoluzione al momento non li sconfessa pensando che la trattativa sarebbe potuta diventare un ripiego nel caso in cui le sue squadre si fossero trovate costrette a smobilitare per l'intervento dell'esercito.

La mattina del 28 Salandra propose al re di dare l'incarico di formare il governo a Orlando ma De Vecchi informò il re che l'unica persona con cui Benito Mussolini avrebbe governato sarebbe stato lo stesso Salandra. A Benito Mussolini fu, quindi, proposto di governare a fianco di Salandra ma egli rifiutò: «Non ho fatto quello che ho fatto per provocare la risurrezione di don Antonio Salandra».

La mattina seguente Salandra fu informato che non c'era niente da fare e decise di non accettare l'incarico. Il re quindi pregò De Vecchi di informare Benito Mussolini che era pronto a offrirgli l'incarico. Benito Mussolini rispose: «Appena ricevo nero su bianco il telegramma di Cittadini partirò in aeroplano». Il telegrammma arrivò a mezzogiorno:

SUA MAESTÀ IL RE MI INCARICA DI PREGARLA DI RERCARSI
A ROMA DESIDERANDO CONFERIRE CON LEI OSSEQUI
GENERALE CITTADINI


Alle 8 di sera Benito Mussolini partì in treno alla volta di Roma dove arrivò alle 11.30 del 30 ottobre con ritardo perché il treno dovette fermarsi a molte stazioni dove i fascisti stavano festeggiando. Il futuro Duce si presentò al re dicendogli «Maestà vi porto l'Italia di Vittorio Veneto»; Benito Mussolini parlò per un'ora col re promettendogli di formare un nuovo governo con molte personalità non fasciste entro sera. Alle 18 presentò il governo e solo dopo aver varato il ministero si ricordò delle sue camicie nere che nel frattempo attendevano ordini dai Quadrumviri che ne sapevano quanto loro.

Ricevettero l'ordine di marciare la sera del 30, quando già Benito Mussolini si apprestava a tenere la sua prima riunione di gabinetto. Giunsero in Roma con ogni mezzo e da 30 mila che erano per strada divennero ben presto oltre 70 mila. Ci fu qualche scontro con gli operai del quartiere San Lorenzo, ma Benito Mussolini impartì alla polizia l'ordine di evitare qualunque tumulto.

Il 31 ottobre sfilarono sotto il Quirinale per 6 ore e 46 minuti davanti al re, a Diaz e al grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel. Poi su ordine di Benito Mussolini i marciatori furono rispediti alle sedi di origine. La rivoluzione fascista stava per prendere posto nella Storia.

 
Torna ai contenuti | Torna al menu